131. Della pittura lineale.
Siano con somma diligenza considerati i termini di qualunque corpo, ed
il modo del lor serpeggiare, le quali serpeggiature sia giudicato se le
sue volte partecipano di curvità circolare o di concavità angolare.
132. Della pittura, cioè delle ombre.
Le ombre, le quali tu discerni con difficoltà ed i loro termini non
puoi conoscere, anzi, con confuso giudizio le pigli e trasferisci nella
tua opera, non le farai finite, ovvero terminate, sicché la tua opera
sarà di legnosa (Nell'edizione romana, 1817, alla parola "legnosa"
è sostituito: "ingegnosa.") risultazione.
133. Delle parti e qualità della pittura.
La prima parte della pittura è che i corpi con quella figurati si
dimostrino rilevati e che i campi di essi circondatori con le loro
distanze si dimostrino entrare dentro alla parete, dove tal pittura è
generata, mediante le tre prospettive, cioè diminuzione delle figure
de' corpi, diminuzione delle magnitudini loro e diminuzione de' loro
colori. E di queste tre prospettive la prima ha origine dall'occhio, le
altre due hanno derivazione dall'aria interposta infra l'occhio e gli
obietti da esso occhio veduti. La seconda parte della pittura sono gli
atti appropriati e variati nelle stature, sí che gli uomini non paiano fratelli.
134. Della elezione de' bei visi.
Parmi non piccola grazia quella di quel pittore, il quale fa buone arie
alle sue figure. La qual grazia chi non l'ha per natura la può pigliare
per accidentale studio in questa forma. Guarda a tôrre le parti buone
di molti visi belli, le quali belle parti sieno conformi piú per
pubblica fama che per tuo giudizio; perché ti potresti ingannare
togliendo visi che avessero conformità col tuo; perché spesso pare che
simili conformità ci piacciano, e se tu fossi brutto eleggeresti visi
non belli, e faresti brutti visi, come molti pittori, ché spesso le
figure somigliano al maestro; sicché piglia le bellezze, come ti dico, e quelle metti in mente.
135. Della elezione dell'aria, che dà grazia ai volti.
Se avrai una corte da poter coprire a tua posta con tenda lina, questo
lume sarà buono; ovvero quando vuoi ritrarre uno, ritrailo a cattivo
tempo, sul far della sera, facendo stare il ritratto con la schiena
accosto a uno de' muri di essa corte. Pon mente per le strade sul fare
della sera ai visi di uomini e di donne, quando è cattivo tempo, quanta
grazia e dolcezza si vede in essi. Adunque tu, pittore, avrai una corte
accomodata co' muri tinti di nero con alquanto sporto di tetto sopra
esso muro, e sia larga braccia dieci e lunga venti, ed alta dieci; e
quando non la copri con tenda, sia sul far della sera per ritrarre
un'opera, e quando è o nuvolo, o nebbia; e questa è perfetta aria.
136. Delle bellezze e bruttezze.
Le bellezze con le bruttezze paiono più potenti l'una per l'altra.
137. Delle bellezze.
Le bellezze de' volti possono essere in diverse persone di pari bontà,
ma non mai simili in figura, anzi saranno di tante varietà quant'è il
numero a cui quelle sono congiunte.
138. De' giudicatori di varie bellezze in varî corpi, e di pari eccellenza.
Ancoraché in varî corpi siano varie bellezze e di grazia eguali, i varî
giudici di pari intelligenza le giudicheranno di gran varietà infra
loro esservi tra l'una e l'altra delle loro elezioni.
139. Come si debbono figurare i putti.
I putti piccoli si debbono figurare con atti pronti e storti quando
seggono, e nello star ritti con atti timidi e paurosi.
140. Come si debbono figurare i vecchi.
I vecchi debbono esser fatti con pigri e lenti movimenti, e le gambe
piegate nelle ginocchia quando stanno fermi, e i piedi pari e distanti
l'un dall'altro; sieno declinati in basso, la testa innanzi chinata e
le braccia non troppo distese.
141. Come si debbono figurare le donne.
Le donne si debbono figurare con atti vergognosi, le gambe insieme
strette, le braccia raccolte insieme, teste basse e piegate in traverso.
142. Come si debbono figurare le vecchie.
Le vecchie si debbono figurare ardite e pronte, con rabbiosi movimenti,
a guisa di furie infernali, ed i movimenti debbono parere piú pronti
nelle braccia e teste che nelle gambe.
143. Come si deve figurare una notte.
Quella cosa che è priva interamente di luce è tutta tenebre: essendo la
notte in simile condizione, se tu vi vorrai figurare un'istoria, farai
che, essendovi un gran fuoco, quella cosa che è più propinqua a detto
fuoco più si tinga nel suo colore, perché quella che è più vicina
all'obietto, più partecipa della sua natura; e facendo il fuoco pendere
in color rosso, farai tutte le cose illuminate da quello anch'esse
rosseggiare, e quelle che son più lontane da detto fuoco, più sieno
tinte del color nero della notte. Le figure che son fatte innanzi al
fuoco appariscano scure nella chiarezza d'esso fuoco, perché quella
parte d'essa cosa che vedi è tinta dall'oscurità della notte e non
dalla chiarezza del fuoco: e quelle che si trovano dai lati, sieno
mezze scure e mezze rosseggianti: e quelle che si possono vedere dopo i
termini delle fiamme, saranno tutte illuminate di rosseggiante lume in
campo nero. In quanto agli atti, farai le figure che sono appresso
farsi scudo con le mani e con i mantelli a riparo del soverchio calore,
e, volte col viso in contraria parte, mostrar di fuggire: quelle più
lontane, farai gran parte di loro farsi con le mani riparo agli occhi
offesi dal soverchio splendore.
144. Come si deve figurare una fortuna.
Se tu vuoi figurar bene una fortuna, considera e poni bene i suoi
effetti, quando il vento, soffiando sopra la superficie del mare o
della terra, rimove e porta seco quelle cose che non sono ferme con la
universale massa. E per ben figurare questa fortuna, farai prima i
nuvoli spezzati e rotti drizzarsi per il corso del vento, accompagnati
dall'arenosa polvere levata da' lidi marini: e rami e foglie, levati
per la potenza del furore del vento, sparsi per l'aria ed in compagnia
di molte altre leggiere cose: gli alberi e le erbe, piegati a terra,
quasi mostrar di voler seguire il corso de' venti, con i rami storti
fuor del naturale corso e con le scompigliate e rovesciate foglie: e
gli uomini, che lí si trovano, parte caduti e rivolti per i panni e per
la polvere, quasi sieno sconosciuti, e quelli che restano ritti sieno
dopo qualche albero, abbracciati a quello, perché il vento non li
strascini; altri con le mani agli occhi per la polvere, chinati a
terra, ed i panni ed i capelli dritti al corso del vento. Il mare
turbato e tempestoso sia pieno di ritrosa spuma infra le elevate onde,
ed il vento faccia levare infra la combattuta aria della spuma più
sottile, a uso di spessa ed avviluppata nebbia. I navigli che dentro vi
sono, alcuni se ne faccia con la vela rotta, ed i brani d'essa
ventilando infra l'aria in compagnia d'alcuna corda rotta; alcuni
alberi rotti caduti col naviglio attraversato e rotto infra le
tempestose onde; ed uomini, gridando, abbracciare il rimanente del
naviglio. Farai i nuvoli cacciati dagli impetuosi venti, battuti nelle
alte cime delle montagne, e fra quelli avviluppati e ritrosi a
similitudine delle onde percosse negli scogli; l'aria spaventosa per le
scure tenebre fatte nell'aria dalla polvere, nebbia e nuvoli folti.
145. Come si deve figurare una battaglia.
Farai prima il fumo dell'artiglieria mischiato infra l'aria insieme con
la polvere mossa dal movimento de' cavalli de' combattitori; la qual
mistione userai cosí: la polvere, perché è cosa terrestre e ponderosa,
e benché per la sua sottilità facilmente si levi e mischi infra l'aria,
nientedimeno volentieri ritorna in basso, ed il suo sommo montare è
fatto dalla parte più sottile; adunque il meno sarà veduta, e parrà
quasi del color dell'aria. Il fumo che si mischia infra l'aria
polverata, quando più s'alza a certa altezza, parrà oscure nuvole, e
vedrassi nelle sommità più espeditamente il fumo che la polvere. Il
fumo penderà in colore alquanto azzurro, e la polvere trarrà al suo
colore. Dalla parte che viene il lume parrà questa mistione d'aria,
fumo e polvere molto più lucida che dalla opposita parte. I
combattitori, quanto piú saranno infra detta turbolenza, tanto meno si
vedranno, e meno differenza sarà da' loro lumi alle loro ombre. Farai
rosseggiare i visi e le persone e l'aria vicina agli archibusieri
insieme co' loro vicini; e detto rossore quanto più si parte dalla sua
cagione, più si perda; e le figure che sono infra te ed il lume,
essendo lontane, parranno scure in campo chiaro, e le lor gambe, quanto
più s'appresseranno alla terra, meno saranno vedute; perché la polvere
è lí più grossa e spessa. E se farai cavalli correnti fuori della
turba, fa i nuvoletti di polvere distanti l'uno dall'altro quanto può
esser l'intervallo per salti fatti dal cavallo; e quel nuvolo che è più
lontano da detto cavallo meno si veda, anzi sia alto, sparso e raro, ed
il più presso sia il più evidente e minore e più denso. L'aria sia
piena di saettume di diverse ragioni; chi monti, chi discenda, qual sia
per linea piana; e le pallottole degli schioppettieri sieno
accompagnate d'alquanto fumo dietro ai loro corsi. E le prime figure
farai polverose ne' capelli e ciglia ed altri luoghi piani, atti a
sostenere la polvere. Farai vincitori correnti con capelli e altre cose
leggiere sparse al vento, con le ciglia basse, e caccino contrarie
membra innanzi, cioè se manderanno innanzi il piè destro, che il
braccio manco ancor esso venga innanzi; e se farai alcuno caduto, gli
farai il segno dello sdrucciolare su per la polvere condotta in
sanguinoso fango; ed intorno alla mediocre liquidezza della terra farai
vedere stampate le pedate degli uomini e de' cavalli di lí passati.
Farai alcuni cavalli strascinar morto il loro signore, e di dietro a
quello lasciare per la polvere ed il fango il segno dello strascinato
corpo. Farai i vinti e battuti pallidi, con le ciglia alte nella loro
congiunzione, e la carne che resta sopra di loro sia abbondante di
dolenti crespe. Le faccie del naso sieno con alquante grinze partite in
arco dalle narici, e terminate nel principio dell'occhio. Le narici
alte, cagione di dette pieghe, e le labbra arcuate scoprano i denti di
sopra. I denti spartiti in modo di gridare con lamento.
Una delle mani faccia scudo ai paurosi occhi, voltando il di dentro
verso il nemico, l'altra stia a terra a sostenere il levato busto.
Altri farai gridanti con la bocca sbarrata, e fuggenti. Farai molte
sorte d'armi infra i piedi de' combattitori, come scudi rotti, lance,
spade rotte ed altre simili cose. Farai uomini morti, alcuni ricoperti
mezzi dalla polvere, ed altri tutti. La polvere che si mischia con
l'uscito sangue convertirsi in rosso fango, e vedere il sangue del suo
colore correre con torto corso dal corpo alla polvere. Altri morendo
stringere i denti, stravolgere gli occhi, stringer le pugna alla
persona, e le gambe storte. Potrebbesi vedere alcuno, disarmato ed
abbattuto dal nemico, volgersi a detto nemico e con morsi e graffi far
crudele ed aspra vendetta. Potriasi vedere alcun cavallo leggiero
correre con i crini sparsi al vento fra i nemici e con i piedi far
molto danno, e vedersi alcuno stroppiato cadere in terra, farsi
coperchio col suo scudo, ed il nemico chinato in basso far forza per
dargli morte. Potrebbersi vedere molti uomini caduti in un gruppo sopra un cavallo morto.
Vedransi alcuni vincitori lasciare il combattere, ed uscire della
moltitudine, nettandosi con le mani gli occhi e le guance ricoperti di
fango fatto dal lacrimar degli occhi per causa della polvere.
Vedransi le squadre del soccorso star piene di speranza e di sospetto,
con le ciglia aguzze, facendo a quelle ombra con le mani, e riguardare
infra la folta e confusa caligine per essere attente al comandamento
del capitano; il quale potrai fare col bastone levato, e corrente
inverso il soccorso mostrandogli la parte dov'è bisogno di esso. Ed
alcun fiume, dentrovi cavalli correnti, riempiendo la circostante acqua
di turbolenza d'onde, di schiuma e d'acqua confusa saltante inverso
l'aria, e tra le gambe e i corpi de' cavalli. E non far nessun luogo
piano senza le pedate ripiene di sangue.
146. Del modo di condurre in pittura le cose lontane.
Chiaro si vede essere un'aria grossa più che le altre, la quale confina
con la terra piana; e quanto più si leva in alto, più è sottile e
trasparente. Le cose elevate e grandi che saranno da te lontane, la lor
bassezza poco sarà veduta, perché la vedi per una linea che passa infra
l'aria più grossa continuata. La sommità di dette altezze si trova
essere veduta per una linea, la quale, benché dal canto dell'occhio tuo
si causi nell'aria grossa, nondimeno, terminando nella somma altezza
della cosa vista, viene a terminare in aria molto più sottile che non
fa la sua bassezza; e per questa ragione questa linea, quanto più si
allontana da te di punto in punto, sempre muta qualità di sottile in
sottile aria. Adunque tu, pittore, quando fai le montagne, fa che di
colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze; e
quanto le fai più lontane l'una dall'altra, fa le bassezze più chiare,
e quanto più si leveranno in alto, più mostreranno la verità della forma e del colore.
147. Come l'aria si deve far più chiara quanto più la fai finire bassa.
Perché quest'aria è grossa presso alla terra, e quanto più si leva e
più s'assottiglia, quando il sole è per levante riguarderai il ponente,
partecipante di mezzodì e tramontana, e vedrai quell'aria grossa
ricevere più lume dal sole che la sottile, perché i raggi trovano più
resistenza. E se il cielo alla vista tua terminerà con la bassa pianura
quella parte ultima del cielo sarà veduta per quell'aria più grossa e
più bianca, la quale corromperà la verità del colore che si vedrà per
suo mezzo, e parrà lì il cielo più bianco che sopra te, perché la linea
visuale passa per meno quantità d'aria corrotta da grossi umori. E se
riguarderai inverso levante, l'aria ti parrà più scura quanto più
s'abbassa, perché in dett'aria bassa i raggi luminosi meno passano.
148. A fare che le figure spicchino dal loro campo.
Le figure di qualunque corpo più parranno rilevate e spiccate da' loro
campi, delle quali essi campi saranno di color chiari o scuri, con più
varietà che sia possibile ne' confini delle predette figure, come sarà
dimostrato al suo luogo, e che in detti colori sia osservata la
diminuzione di chiarezza ne' bianchi, e di oscurità ne' colori scuri.
149. Del figurare le grandezze delle cose dipinte.
Nella figurazione delle grandezze che hanno naturalmente le cose
anteposte all'occhio, si debbono figurare tanto finite le prime figure,
essendo piccole, come le opere de' miniatori, come le grandi de'
pittori: ma le piccole de' miniatori debbono esser vedute d'appresso, e
quelle del pittore da lontano; così facendo esse figure vengono
all'occhio con egual grandezza; e questo nasce perché esse vengono con
egual grossezza d'angolo. Provasi, e sia l'obbietto bc, e l'occhio sia
a; e de sia una tavola di vetro per la quale penetrino le specie del
bc. Dico che stando fermo l'occhio a, la grandezza della pittura fatta
per l'imitazione di esso bc, deve essere di tanto minor figura, quanto
il vetro de sarà più vicino all'occhio a, e deve essere egualmente
finita. E se tu fingerai essa figura bc nel vetro de, la tua figura
deve essere meno finita che la figura bc, e più finita che la figura
mn, fatta sul vetro fg, perché se po figura fosse finita come la
naturale bc, la prospettiva d'esso op sarebbe falsa, perché, in quanto
alla diminuzione della figura, essa starebbe bene, essendo bc diminuito
in po; ma il finito non si accorderebbe con la distanza, perché nel
ricercare la perfezione del finito del naturale bc, allora esso bc
parrebbe nella vicinità op; ma se tu vorrai ricercare la diminuzione di
op, esso op pare essere nella distanza bc, e nel diminuire del finito al vetro fg.
150. Delle cose finite, e delle confuse.
Le cose finite e spedite si debbono far d'appresso, e le confuse, cioè di termini confusi, si fingano in parti remote.
151. Delle figure che sono separate, acciocché non paiano congiunte.
I colori di che tu vesti le figure sieno tali che diano grazia l'uno
all'altro; e quando un colore si fa campo dell'altro, sia tale che non
paiano congiunti ed appiccati insieme, ancor che fossero di medesima
natura di colore, ma sieno varî di chiarezza, tale quale richiede
l'interposizione della distanza e della grossezza dell'aria che fra
loro s'inframmette, e con la medesima regola vada la notizia de' loro
termini, cioè più o meno espediti o confusi, secondo che richiede la loro propinquità o remozione.
152. Se il lume deve esser tolto in faccia alle figure, o da parte, e quale dia piú grazia.
Il lume tolto in faccia ai volti posti dentro a pareti laterali, le
quali sieno oscure, sarà causa che tali volti avranno gran rilievo, e
massime avendo il lume da alto, e questo rilievo accade perché la parte
dinanzi di tal volto è illuminata dal lume universale dell'aria a
quello anteposta, onde tal parte illuminata ha ombre quasi insensibili,
e dopo essa parte dinanzi del volto seguitano le parti laterali,
oscurate dalle predette pareti laterali delle stanze, le quali tanto
piú oscurano il volto, quanto esso volto entra fra loro con le sue
parti: ed oltre di questo seguita che il lume che scende da alto priva
di sé tutte quelle parti alle quali è fatto scudo dai rilievi del
volto, come le ciglia che sottraggono il lume all'incassatura degli
occhi, ed il naso che lo toglie a gran parte della bocca, ed il mento alla gola, e simili altri rilievi.
153. Della riverberazione.
Le riverberazioni son causate da corpi di chiara qualità, di piana e
semidensa superficie, i quali, percossi dal lume, quello, a
similitudine del balzo della palla, ripercuotono nel primo obietto.
154. Dove non può essere riverberazione luminosa.
Tutti i corpi densi si vestono nella loro superficie di varie qualità
di lumi e d'ombre. I lumi sono di due nature: l'uno si domanda
originale e l'altro derivativo. Originale dico esser quello che deriva
da vampa di fuoco, o dal lume del sole, o d'aria; lume derivativo sarà
il lume riflesso. Ma per tornare alla promessa definizione, dico che
riverberazione luminosa non sarà da quella parte del corpo che sarà
volta ai corpi ombrosi, come luoghi oscuri, prati di varie altezze
d'erbe, boschi verdi o secchi, i quali, benché la parte di ciascun ramo
volta al lume originale si vesta della qualità di esso lume,
nientedimeno sono tante le ombre fatte da ciascun ramo per sé, e tante
le ombre fatte dall'un ramo su l'altro, che in somma ne risulta tale
oscurità, che il lume vi è per niente; onde non possono simili obietti
dare ai corpi oppositi alcun lume riflesso.
155. De' riflessi.
I riflessi sieno partecipanti tanto piú o meno della cosa dove si
generano, che della cosa che li genera, quanto la cosa dove si generano
è di piú pulita superficie che quella che li genera.
156. De' riflessi de' lumi che circondano le ombre.
I riflessi delle parti illuminate che risaltano nelle contrapposte
ombre alleviano piú o meno la loro oscurità, secondo ch'esse sono piú o
meno vicine o hanno piú o meno di chiarezza; questa tal considerazione
è messa in opera da molti, e molti altri sono che la fuggono, e questi
si ridono l'un dell'altro. Ma tu, per fuggir le calunnie dell'uno e
dell'altro, metti in opera l'uno e l'altro dove sono necessari, ma fa
che le loro cause sieno note, cioè che si veda manifesta la causa de'
riflessi e loro colori, e cosí manifesta la causa delle cose che non
riflettono. Facendo cosí non sarai interamente biasimato, né lodato dai
varî giudici, i quali, se non saranno d'intera ignoranza, sarà
necessario che in tutto ti laudino, sí l'una setta come l'altra.
157. Dove i riflessi de' lumi sono di maggiore o minor chiarezza.
I riflessi de' lumi sono di tanto minore o maggiore evidenza, quanto
essi saranno veduti in campi di maggiore o minore oscurità; e questo
accade perché se il campo è piú oscuro che il riflesso, allora esso
riflesso sarà forte evidente per la differenza grande che hanno essi
colori infra loro; ma se il riflesso sarà veduto in campo piú chiaro di
esso, allora tal riflesso si dimostrerà essere oscuro rispetto alla
bianchezza con la quale confina, e cosí tal riflesso sarà insensibile.
158. Qual parte del riflesso sarà piú chiara.
Quella parte del riflesso sarà piú illuminata che riceve il lume infra
angoli piú eguali del luminoso, come nella percussione.
Provasi, e sia il luminoso n, ed ab sia la parte del corpo illuminata,
la quale risalta per tutta la concavità opposita, la quale è ombrosa. E
sia che tal lume, che riflette in e, sia percosso infra angoli eguali,
e' non sarà riflesso da base d'angoli eguali, come si mostra l'angolo
eab che è piú ottuso che l'angolo eba; ma l'angolo afb, ancor che sia
infra angoli di minor egualità che l'angolo e, esso ha per base ab che
ha gli angoli più eguali che esso angolo e; e però sarà più chiaro in f
che in e; ed ancora sarà più chiaro, perché sarà più vicino alla cosa
che l'illumina, per la sesta che dice: quella parte del corpo ombroso
sarà più illuminata che sarà più vicina al suo luminoso.
159. De' colori riflessi della carne.
I riflessi della carne che hanno lume d'altra carne sono più rossi e di
più eccellente incarnazione che nessun'altra parte di carne che sia
nell'uomo; e questo accade per la terza del secondo libro, che dice: la
superficie d'ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto; e
tanto più quanto tale obietto gli è piú vicino, e tanto meno quanto gli
è piú remoto e quanto egli è maggiore; perché essendo grande, esso
impedisce le specie degli obietti circostanti, i quali spesse volte
sono di colori varî, i quali corrompono le prime specie piú vicine,
quando i corpi sono piccoli; ma non manca che non tinga più un riflesso
un piccolo colore vicino, che un colore grande remoto, per la sesta di
prospettiva, che dice: le cose grandi potranno essere in tanta
distanza, che esse parranno minori assai che le piccole d'appresso.
160. Dove i riflessi sono più sensibili.
Quel riflesso sarà di più spedita evidenza, il quale è veduto in campo
di maggiore oscurità, e quello sarà meno sensibile, che si vedrà in campo
piú chiaro; e questo nasce ché le cose di varie oscurità poste in
contrasto, la meno oscura fa parere tenebrosa quella che è più oscura,
e le cose di varie bianchezze poste in contrasto, la piú bianca fa
parere l'altra meno bianca che non è.
161. De' riflessi duplicati e triplicati.
I riflessi duplicati sono di maggior potenza che i riflessi semplici, e
le ombre che s'interpongono infra il lume incidente ed essi riflessi
sono di poca oscurità. Sia a il luminoso; an, as i diretti; sn sian le
parti dei corpi illuminate; o b siano le parti d'essi corpi illuminate
dai riflessi; ed il riflesso ane è il riflesso semplice; ano, aso è il
riflesso duplicato. Il riflesso semplice è detto quello che solo da un
illuminato è veduto, e il duplicato è visto da due corpi illuminati, e
il semplice e è fatto dall'illuminato bd: il duplicato o si compone
dell'illuminato bd e dell'illuminato dr; e l'ombra sua è di poca
oscurità, la quale s'interpone infra il lume incidente n ed il lume riflesso no, so.
162. Come nessun colore riflesso è semplice, ma è misto con le specie degli altri colori.
Nessun colore che rifletta nella superficie d'un altro corpo tinge essa
superficie del suo proprio colore, ma sarà mista con i concorsi degli
altri colori riflessi che risaltano nel medesimo luogo; come il color
giallo a che riflette nella parte dello sferico coe, e nel medesimo
luogo riflette il colore azzurro b. Dico per questa riflessione mista
di giallo e di azzurro, che la percussione del suo concorso tingerà lo
sferico; se era in sé bianco, lo farà di color verde, perché è provato
che il giallo e l'azzurro misti insieme compongono un bellissimo verde.
163. Come rarissime volte i riflessi sono del colore del corpo dove si congiungono.
Rarissime sono le volte che i riflessi sieno del colore del corpo dove
si congiungono. Sia giallo lo sferico dfge, e l'obietto che gli
riflette addosso il suo colore sia bc, il quale è azzurro; dico che la
parte dello sferico, che è percossa da tal riflessione, si tingerà in
color verde, essendo bc illuminato dall'aria o dal sole.
164. Dove piú si vedrà il riflesso.
Infra il riflesso di medesima figura, grandezza e potenza, quella parte
si dimostrerà piú o meno potente, la quale terminerà in campo piú o meno scuro.
165. De' riflessi.
1° Le superficie de' corpi partecipano piú de' colori di quegli obietti
i quali riflettono in lui la sua similitudine infra angoli piú eguali.
2° De' colori degli obietti che riflettono le sue similitudini nelle
superficie degli anteposti corpi infra angoli eguali, quello sarà piú
potente il quale avrà il suo raggio riflesso di piú breve lunghezza.
3° Infra i colori degli obietti che si riflettono infra angoli eguali,
e con egual distanza nella superficie de' contrapposti corpi, quello
sarà piú potente che sarà di piú chiaro colore.
4° Quell'obietto riflette piú intensamente il suo colore nell'anteposto
corpo, il quale non ha intorno a sé altri colori che della sua specie.
166. Riflessione.
Ma quel riflesso sarà di piú confuso colore, che da varî colori
d'obietti è generato. Quel colore che sarà piú vicino al riflesso, piú
tingerà di sé esso riflesso, e cosí di converso. Adunque tu, pittore,
fa di operare ne' riflessi dell'effigie delle figure il colore delle
parti de' vestimenti che sono presso alle parti delle carni che loro
sono piú vicine, ma non separare con troppa loro pronunziazione, se non bisogna.
167. De' colori de' riflessi.
Tutti i colori riflessi sono di manco luminosità che il lume retto, e
tal proporzione ha il lume incidente col lume riflesso, quale è quella
che hanno infra loro le luminosità dalle loro cause.
168. De' termini de' riflessi nel loro campo.
Il termine de' riflessi nel campo piú chiaro di esso riflesso sarà
causa che tale riflesso terminerà in campo piú oscuro di lui; allora
esso riflesso sarà sensibile, e tanto piú si farà evidente, quanto tal
campo sarà piú oscuro, e cosí di converso.
169. Del modo d'imparar bene a comporre insieme le figure nelle istorie.
Per ciò, quando tu avrai imparato bene prospettiva, ed avrai a mente
tutte le membra ed i corpi delle cose, sii vago spesse volte nel tuo
andare a spasso di vedere e considerare i siti e gli atti degli uomini
nel parlare, nel contendere, nel ridere o nell'azzuffarsi insieme, che
atti sieno in loro, e che atti facciano i circostanti, spartitori o
veditori di esse cose, e quelli notare con brevi segni in questa forma
su un tuo piccolo libretto, il quale tu devi sempre portare teco, e sia
di carte tinte, acciò non l'abbia a scancellare, ma mutare di vecchio
in nuovo; ché queste non sono cose da essere scancellate, anzi, con
grandissima diligenza serbate, perché sono tante le forme e gli atti
delle cose, che la memoria non è capace a ritenerle; onde queste
riserberai come tuoi adiutori e maestri.
170. Del porre prima una figura nell'istoria.
La prima figura nell'istoria farai tanto minore che il naturale, quante
braccia tu la figuri lontana dalla prima linea, e poi piú le altre a
comparazione di quella, con la regola di sopra.
171. Del collocar le figure.
Tanto quanto la parte del nudo da diminuisce per posare, tanto
l'opposita parte cresce; cioè tanto quanto la parte da diminuisce di
sua misura, l'opposita parte sopraccresce alla sua misura, ed il
bellico mai esce di sua altezza, ovvero il membro virile; e questo
abbassamento nasce perché la figura che posa sopra un piede, quel piede
si fa centro del soprapposto peso. Essendo cosí, il mezzo delle spalle
si drizza di sopra, uscendo fuori della sua linea perpendicolare, la
quale linea passa per i mezzi superficiali del corpo; e questa linea
viene a torcere nella sua superiore estremità sopra il piede che posa;
ed i lineamenti traversi, costretti a eguali angoli, si fanno co' loro
estremi piú bassi in quella parte che posa, come appare in abc.
172. Modo del comporre le istorie.
Delle figure che compongono le istorie, quella si dimostrerà di maggior
rilievo la quale sarà finta esser piú vicina all'occhio: questo accade
per la seconda del terzo, che dice: quel colore si dimostra di maggior
perfezione, il quale ha minor quantità d'aria interposta fra sé e
l'occhio che lo giudica: e per questo le ombre, le quali mostrano i
corpi opachi essere rilevati, si dimostrano ancora piú oscure
d'appresso che da lontano, dove sono corrotte dall'aria interposta fra
l'occhio ed esse ombre: la qual cosa non accade nelle ombre vicine
all'occhio, dove esse mostrano i corpi di tanto maggior rilievo, quanto esse sono di maggiore oscurità.
173. Del comporre le istorie.
Ricordati, pittore, quando fai una sola figura, di fuggire gli scorti
di quella, sí delle parti come del tutto, perché tu avresti da
combattere con l'ignoranza degl'indotti di tale arte; ma nelle istorie
fanne in tutti i modi che ti accade, e massime nelle battaglie, dove
per necessità accadono infiniti scorciamenti e piegamenti de'
componitori di tal discordia, o vuoi dire pazzia bestialissima.
174. Varietà d'uomini nelle istorie
Nelle istorie debbono esser uomini di varie complessioni, età,
carnagioni, attitudini, grassezze, magrezze; grossi, sottili, grandi,
piccoli, grassi, magri, fieri, civili, vecchi, giovani, forti e
muscolosi, deboli e con pochi muscoli, allegri, malinconici, e con
capelli ricci e distesi, corti e lunghi, movimenti pronti e languidi, e
cosí varî abiti, colori e qualunque cosa in essa istoria si richiede. È
sommo peccato nel pittore fare i visi che somiglino l'un l'altro, e
cosí la replicazione degli atti è vizio grande.
175. Dell'imparare i movimenti dell'uomo.
I movimenti dell'uomo vogliono essere imparati dopo la cognizione delle
membra e del tutto in tutti i moti delle membra e giunture, e poi con
breve notazione di pochi segni vedere gli atti degli uomini ne' loro
accidenti, senza ch'essi si avveggano che tu li consideri, perché, se
s'avvedranno di tal considerazione, avranno la mente occupata a te, la
quale avrà abbandonato la ferocità del loro atto, al quale prima era
tutta intenta, come quando due irati contendono insieme, e che a
ciascuno pare aver ragione, i quali con gran ferocità muovono le ciglia
e le braccia e gli altri membri, con atti appropriati alla loro
intenzione e alle loro parole; il che far non potresti, se tu gli
volessi far fingere tal ira, o altro accidente, come riso, pianto,
dolore, ammirazione, paura e simili: sicché per questo sii vago di
portar teco un libretto di carte ingessate e con lo stile d'argento
nota con brevità tali movimenti, e similmente nota gli atti de'
circostanti e loro compartizione. Questo t'insegnerà a comporre le
istorie; e quando avrai pieno il tuo libretto, mettilo da parte, e
serbalo a' tuoi propositi, e ripigliane un altro, e fanne il simile; e
questa sarà cosa utilissima al modo del tuo comporre, del quale io farò
un libro particolare, che seguirà dopo la cognizione delle figure e
membra in particolare; e varietà delle loro giunture.
176. Come il buon pittore ha da dipingere due cose, l'uomo e la sua mente.
Il buon pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l'uomo ed il
concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile,
perché si ha a figurare con gesti e movimenti delle membra; e questo è
da essere imparato dai muti, che meglio li fanno che alcun'altra sorta d'uomini.
177. Del comporre le istorie in prima bozza.
Lo studio de' componitori delle istorie deve essere di porre le figure
digrossatamente, cioè abbozzate, e prima saperle ben fare per tutti i
versi e piegamenti e distendimenti delle loro membra. Dipoi sia presa
la descrizione di due che arditamente combattono insieme, e questa tale
invenzione sia esaminata in varî atti e per varî aspetti; dipoi sia
seguitato il combattere dell'ardito col vile e pauroso; e queste tali
azioni, e molti altri accidenti dell'animo, sieno con grande
esaminazione e studio speculate.
178. Di non far nelle istorie troppi ornamenti alle figure.
Non fare mai nelle istorie tanti ornamenti alle tue figure ed altri
corpi che impediscano la forma e l'attitudine di tali figure e l'essenza de' predetti altri corpi.
179. Della varietà nelle istorie.
Dilettisi il pittore ne' componimenti delle istorie della copia e
varietà, e fugga il replicare alcuna parte che in essa fatta sia,
acciocché la novità ed abbondanza attragga a sé e diletti l'occhio del
riguardatore. Dico che nell'istoria si richiede, e a' loro luoghi
accadendo, misti gli uomini di diverse effigie, con diverse età ed
abiti, insieme misti con donne, fanciulli, cani, cavalli, edifici, campagne e colli.
180. Dell'istoria.
Sia osservata la dignità e decoro del principe o del savio, che
nell'istoria si propone, con la separazione e interamente privata del tumulto del volgo.
181. Convenienze delle parti delle istorie.
Non mischierai i malinconici lagrimosi e piangenti con gli allegri e
ridenti, imperocché la natura dà che con i piangenti si lacrimi, e con
i ridenti si allegri, e sí separa i loro risi e pianti.
182. Del diversificare le arie de' volti nelle istorie.
Comune difetto è ne' dipintori italici il riconoscersi l'aria e figura
dell'operatore, mediante le molte figure da lui dipinte; onde, per
fuggire tale errore, non sieno fatte, né replicate mai, né tutto, né
parte delle figure, che un volto si veda nell'altro nell'istoria.
183. Del variare valetudine, età e complessione dei corpi nelle istorie.
Dico anco che nelle istorie si deve mischiare insieme vicinamente i
retti contrari, perché danno gran paragone l'un all'altro; e tanto piú
quanto saranno piú propinqui, cioè il brutto vicino al bello, e il
grande al piccolo, e il vecchio al giovane, e il forte al debole; e cosí si varia quanto si può e piú vicino.
184. De' componimenti delle istorie.
I componimenti delle istorie dipinte debbono muovere i riguardatori e
contemplatori di quelle a quel medesimo effetto, ch'è quello per il
quale tale istoria è figurata; cioè se quell'istoria rappresenta
terrore, paura o fuga, o veramente dolore, pianto e lamentazione, o
piacere, gaudio e riso, e simili accidenti, che le menti di essi
consideratori muovano le membra con atti che paiano ch'essi sieno
congiunti al medesimo caso di che esse istorie figurate sono
rappresentatrici; e se cosí non fanno, l'ingegno di tale operatore è vano.
185. Precetto del comporre le istorie.
O tu, componitore delle istorie, non membrificare con terminati
lineamenti le membrificazioni d'esse istorie, ché t'interverrà come a
molti e varî pittori intervenir suole, i quali vogliono che ogni minimo
segno di carbone sia valido. E questi tali ponno bene acquistare
ricchezze, ma non laude della loro arte, perché molte sono le volte che
l'animale figurato non ha i moti delle membra appropriati al moto
mentale, ed avendo egli fatta bella e grata membrificazione ben finita,
gli parrà cosa ingiuriosa a trasmutare esse membra piú alte, o basse, o
piú indietro che innanzi. E questi tali non sono meritevoli di alcuna
laude nella scienza. Or non hai tu mai considerato poeti componitori
de' lor versi, ai quali non dà noia il fare bella lettera, né si curano
di cancellare alcuni di essi versi, rifacendoli migliori? Adunque,
pittore, componi grossamente le membra delle tue figure, e attendi
prima ai movimenti appropriati agli accidenti mentali degli animali
componitori dell'istoria che alla bellezza e bontà delle loro membra.
Perché tu hai a intendere che, se tal componimento inculto ti riuscirà
appropriato alla sua intenzione, (Nel codice: "invenzione.")
tanto maggiormente satisfarà, essendo poi ornato della perfezione
appropriata a tutte le sue parti. Io ho già veduto ne' nuvoli e muri
macchie che m'hanno desto a belle invenzioni di varie cose, le quali
macchie, ancoraché integralmente fossero in sé private di perfezione di
qualunque membro, non mancavano di perfezione ne' loro movimenti o
altre azioni.
186. Dell'accompagnare i colori l'uno con l'altro, in modo che l'uno dia grazia all'altro.
Se vuoi fare che la vicinità di un colore dia grazia all'altro che con
quello confina, usa quella regola che si vede fare ai raggi del sole
nella composizione dell'arco celeste, per altro nome iris, i quali
colori si generano nel moto della pioggia, perché ciascuna gocciola si
trasmuta nella sua discesa in ciascuno de' colori di tale arco, come
sarà dimostrato al suo luogo. Ora attendi, che se tu vuoi fare
un'eccellente oscurità, dàlle per paragone un'eccellente bianchezza, e
cosí l'eccellente bianchezza farai con la massima oscurità; ed il
pallido farà parere il rosso di piú focosa rossezza che non parrebbe
per sé in paragone del paonazzo; e questa tal regola sarà piú distinta
al suo luogo.
Resta una seconda regola, la quale non attende a fare i colori in sé di
piú suprema bellezza che essi naturalmente sieno, ma che la compagnia
loro dia grazia l'uno all'altro, come fa il verde al rosso, e il rosso
al verde, come fa il verde con l'azzurro. Ed evvi un'altra regola
generativa di disgraziata compagnia, come l'azzurro col giallo, che
biancheggia, o col bianco e simili, i quali si diranno al suo luogo.
187. Del far vivi e belli i colori nelle tue pitture.
Sempre a quei colori che tu vuoi che abbiano bellezza preparerai prima
il campo candidissimo; e questo dico de' colori che sono trasparenti,
perché a quelli che non sono trasparenti non giova campo chiaro; e
l'esempio di questo c'insegnano i colori de' vetri, i quali, quando
sono interposti infra l'occhio e l'aria luminosa, si mostrano di
eccellente bellezza, il che far non possono avendo dietro a sé l'aria tenebrosa o altra oscurità.
188. De' colori delle ombre di qualunque colore.
Il colore dell'ombra di qualunque colore sempre partecipa del colore
del suo obietto, e tanto più o meno quanto esso obietto è piú vicino o
remoto da essa ombra, e quanto esso è piú o meno luminoso.
189. Delle varietà che fanno i colori delle cose remote o
propinque.
Delle cose più oscure che l'aria, quella si dimostrerà di minore
oscurità la quale sarà più remota; e delle cose più chiare che l'aria,
quella si dimostrerà di minor bianchezza che sarà più remota
dall'occhio. Le cose più chiare e più oscure che l'aria in lunga
distanza scambiano colore, perché la chiara acquista oscurità e l'oscura acquista chiarezza.
190. In quanta distanza si perdono i colori delle cose integralmente.
I colori delle cose si perdono integralmente in maggiore o minor
distanza, secondo che l'occhio e la cosa veduta saranno in maggiore o
minore altezza. Provasi per la settima di questo, che dice: l'aria è
tanto più o meno grossa, quanto essa sarà più vicina o remota dalla
terra. Adunque, se l'occhio e la cosa da esso veduta saranno vicini
alla terra, allora la grossezza dell'aria interposta fra l'occhio e la
cosa sarà grossa e impedirà assai il colore della cosa veduta da esso
occhio. Ma se tal occhio insieme con la cosa da lui veduta saranno
remoti dalla terra, allora tale aria occuperà poco il colore del predetto obietto.
191. In quanta distanza si perdono i colori degli obietti dell'occhio.
Tante sono le varietà delle distanze nelle quali si perdono i colori
degli obietti quanto sono varie le età del giorno, e quante sono le
varietà delle grossezze o sottilità dell'aria, per le quali penetrano
all'occhio le specie de' colori de' predetti obietti. E di questo non daremo al presente altra regola.
192. Colore d'ombra del bianco.
L'ombra del bianco veduto dal sole e dell'aria ha le sue ombre traenti
all'azzurro; e questo nasce perché il bianco per sé non ha colore, ma è
ricetto di qualunque colore; e per la quarta di questo, che dice: la
superficie d'ogni corpo partecipa del colore del suo obietto, egli è
necessario che quella parte della superficie bianca partecipi del colore dell'aria suo obietto.
193. Qual colore farà ombra piú nera.
Quell'ombra parteciperà più del nero, che si genererà in più bianca
superficie, e questo avrà maggior proporzione di varietà (Nell'edizione
romana, 1817: "propensione alla varietà.") che nessun'altra
superficie; e questo nasce perché il bianco non è connumerato infra i
colori, ed è ricettivo d'ogni colore, e la superficie sua partecipa più
intensamente de' colori de' suoi obietti che nessun'altra superficie di
qualunque colore, e massime del suo retto contrario, che è il nero o
altri colori oscuri, dal quale il bianco è più remoto per natura; e per
questo pare ed è gran differenza dalle sue ombre principali ai lumi principali.
194. Del colore che non mostra varietà in varie grossezze d'aria.
Possibile è che un medesimo colore non faccia mutazione in varie
distanze, e questo accadrà quando la proporzione delle grossezze
dell'aria e le proporzioni delle distanze che avranno i colori dall'occhio sia una medesima, ma conversa.
Provasi: a sia l'occhio, h sia un colore qual tu vuoi, posto in un
grado di distanza remoto dall'occhio, in aria di quattro gradi di
grossezza; ma perché il secondo grado di
sopra amnl ha la metà piú sottile, l'aria portando in essa il medesimo colore, è necessario che
tal colore sia il doppio piú remoto dall'occhio che non era prima;
adunque porremo i due gradi af ed fg discosto dall'occhio, e sarà il
colore g; il quale poi alzando nel grado di doppia sottilità alla
seconda manl, che sarà il grado ompn, egli è necessario che sia posto
nell'altezza e, e sarà distante dall'occhio tutta la linea ae, la quale
si prova valere in grossezza d'aria quanto la distanza ag, e provasi
cosí: se ag, distanza interposta da una medesima aria infra l'occhio e
il colore, occupa due gradi e mezzo, (Nell' edizione viennese: "se
ag distanza interposta infra l' occhio e il colore è d' una medesima
aria ed occupa due gradi, e il colore è alzato nella distanza di due
gradi e mezzo.") questa distanza è sufficiente a fare che il colore
g alzato in e non varii di sua potenza, perché il grado ac e il grado
af, essendo una medesima grossezza d'aria, sono simili ed eguali, ed il
grado cd, benché sia eguale in lunghezza al grado fg, non è simile in
grossezza d'aria, perché gli è mezzo nell'aria di doppia grossezza
all'aria di sopra, della quale un mezzo grado di distanza occupa tanto
il colore, quanto si faccia un grado intero dell'aria di sopra, che è
il doppio piú sottile che l'aria che gli confina di sotto.
Adunque, calcolando prima le grossezze dell'aria e poi le distanze, tu
vedrai che i colori variati di sito non avranno mutato di bellezza; e
diremo cosí per la calcolazione della grossezza dell'aria il colore h è
posto in quattro gradi di grossezza d'aria; g colore è posto in aria di
due gradi di grossezza; e colore si trova in aria di primo grado di
grossezza. Ora vediamo se le distanze sono in proporzione eguale, ma
conversa. Il colore e si trova distante dall'occhio a due gradi e mezzo
di distanza; il g due gradi, l'h un grado; questa distanza non si
scontra con la proporzione della grossezza; ma è necessario fare una
terza calcolazione, e quest'è che ti bisogna dire: il grado ac, come fu
detto di sopra, è simile ed eguale al grado af, ed il mezzo grado cd è
simile ma non eguale al grado ac, perché è un mezzo grado di lunghezza,
il quale vale un grado intero dell'aria di sopra. (Nel codice
seguono le parole : "la quale è posta.... la sottilità all' aria di sotto.")
Adunque la calcolazione trovata satisfa al proposito, perché ac vale
due gradi di grossezza dell'aria di sopra ed il mezzo grado cd ne vale
uno intero d'essa aria di sopra, cosicché abbiamo tre gradi in valuta
d'essa grossezza di sopra ed uno ve n'è dentro, cioè be (Nel codice
: de.) esso quarto. Seguita: ah ha quattro gradi di grossezza
d'aria; ag ne ha ancora quattro, cioè af ne ha due ed fg due altri, che
fan quattro; ae ne ha ancora quattro, perché ac ne tiene due ed uno cd,
che è la metà di ac e di quella medesima aria, ed uno intero ne è di
sopra nell'aria sottile, che fa quattro. Adunque, se la distanza ae non
è dupla dalla distanza ag, né quadrupla dalla distanza ah, essa è
restaurata dal cd, mezzo grado d'aria grossa, che vale un grado intero
dell'aria piú sottile che gli sta di sopra. E cosí è concluso il nostro
proposito, cioè che il colore hge non si varia per varie distanze.
195. Della prospettiva de' colori.
D'un medesimo colore posto in varie distanze ed eguali altezze, tale
sarà la proporzione del suo rischiaramento, quale sarà quella delle
distanze che ciascuno di essi colori ha dall'occhio che li vede.
Provasi, e sia che ebcd sia un medesimo colore; il primo, e, sia posto
due gradi di distanza dall'occhio a; il secondo, che è b, sia discosto
quattro gradi; il terzo, che è c, sia sei gradi; il quarto, che è d,
sia otto gradi, come mostrano le definizioni de' circoli che si
tagliano sulla linea, come si vede sopra la linea ar; dipoi arsp sia un
grado d'aria sottile; sp e t sia un grado d'aria piú grossa: seguirà
che il primo colore e passerà all'occhio per un grado d'aria grossa,
es, e per un grado d'aria men grossa sa, ed il colore b manderà la sua
similitudine all'occhio a per due gradi d'aria grossa, e per due della
men grossa; ed il c la manderà per tre della grossa e per tre della men
grossa; ed il colore d per quattro della grossa e per quattro della men
grossa. E cosí abbiamo provato qui tale essere la proporzione delle
diminuzioni de' colori, o vuoi dire perdimenti, quale è quella delle
loro distanze dall'occhio che li vede; e questo solo accade ne' colori
che sono d'eguale altezza, perché in quei che sono di altezze ineguali
non si osserva la medesima regola, per esser loro in arie di varie
grossezze, che fanno varie occupazioni ad essi colori.
196. Del colore che non si muta in varie grossezze d'aria.
Non si muterà il colore posto in diverse grossezze d'aria, quando sarà
tanto più remoto dall'occhio l'uno che l'altro. Provasi cosí: se la
prima aria bassa ha quattro gradi di grossezza, ed il colore sia
distante un grado dall'occhio, e la seconda aria più alta abbia tre
gradi di grossezza, ché ha perso un grado, fa che il colore acquisti un
grado di distanza; (Nell'edizione viennese: "un grado e un terzo di
distanza.") e quando l'aria più alta ha perso due gradi di
grossezza, ed il colore ha acquistato due gradi di distanza, allora
tale è il primo colore qual è il terzo: e per abbreviare, se il colore
s'innalza tanto ch'entri nell'aria, che abbia perso tre gradi di
grossezza, ed il colore s'è discostato tre gradi di distanza, allora tu
ti puoi render certo che tal perdita di colore ha fatto il colore alto
e remoto, quanto il colore basso e vicino; perché se l'aria alta ha
perduto i tre quarti della grossezza dell'aria bassa, il colore
nell'alzarsi ha acquistato i tre quarti di tutta la distanza, per la
quale esso si trova remoto dall'occhio. E cosí abbiamo provato l'intento nostro.
197. Se i colori varî possono parere di una uniforme oscurità mediante una medesima ombra.
Possibile è che tutte le varietà de' colori d'una medesima ombra paiano
tramutate nel colore d'essa ombra. Questo si manifesta nelle tenebre
della notte nubilosa, nella quale nessuna figura o colore di corpo si
comprende; e perché tenebre altro non sono che privazione di luce
incidente o riflessa, mediante la quale tutte le figure ed i colori de'
corpi si comprendono, egli è necessario che, tolta integralmente la
causa della luce, manchi l'effetto e la cognizione de' colori e delle figure dei predetti corpi.
198. Della causa de' perdimenti de' colori e figure de' corpi mediante le tenebre che paiono e non sono.
Molti sono i siti in sé illuminati e chiari che si dimostrano tenebrosi
ed al tutto privati di qualunque varietà di colori e figure delle cose
che in essi si trovano: questo avviene per causa della luce dell'aria
illuminata che infra le cose vedute e l'occhio s'interpone, come si
vede dentro alle finestre che sono remote dall'occhio, nelle quali solo
si comprende una uniforme oscurità assai tenebrosa; e se tu entrerai
poi dentro a essa casa, tu vedrai quelle essere in sé forte illuminate,
e potrai speditamente comprendere ogni minima parte di qualunque cosa
dentro a tal finestra che trovar si potesse. E questa tal dimostrazione
nasce per difetto dell'occhio, il quale, vinto dalla soverchia luce
dell'aria, ristringe assai la grandezza della sua pupilla, e per questo
manca assai della sua potenza: e ne' luoghi piú oscuri la pupilla si
allarga, e tanto cresce di potenza, quanto essa acquista di grandezza,
com'è provato nel secondo della mia prospettiva.
199. Come nessuna cosa mostra il suo vero colore, se essa non ha lume da un altro simil colore.
Nessuna cosa dimostrerà mai il suo proprio colore se il lume che
l'illumina non è in tutto d'esso colore. Quello che è qui detto si
manifesta ne' colori de' panni, de' quali le pieghe illuminate, che
riflettono o danno lume alle contrapposte pieghe, gli fanno dimostrare
il loro vero colore. Il medesimo fanno le foglie dell'oro nel dar lume
l'una all'altra, ed il contrariò fa da pigliar lume da un altro colore.
200. De' colori che si dimostrano variare dal loro essere mediante i paragoni de' loro campi.
Nessun termine di colore uniforme si dimostrerà essere eguale se non
termina in campo di colore simile ad esso. Questo si vede manifesto
quando il nero termina col bianco e il bianco col nero, che ciascun
colore pare piú nobile ne' confini del suo contrario che non parrà nel suo mezzo.
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